Il monte Siella ed il monte Tremoggia

...perlustrando dalle parti del Dente del Lupo...

Non doveva essere solo una giornata di montagna, non potevano essere solo vette, creste, fiatone e sudore. Doveva essere una giornata da passare fuori, lontano dalle ansie e dai pensieri, dalle tristezze e insicurezze di un momento difficile. Solo quattro giorni fa tutto è cambiato nella mia vita, tutto è stato stravolto ed ora ciò che conta è solo far passare il tempo. Magari con un sorriso e con un amico che riescano a riempire i vuoti che si sono creati. Giorgio ha capito il momento, il mio richiamo e in mezzo alla settimana mi ha “provocato” proponendomi la salita al Corvo. Un po’ spaventava questa proposta, non ero proprio nello stato mentale adatto per sopportare una impresa come quella, dall’altra parte invece mi sottoponeva ad uno sforzo mentale che era esattamente quello che mi serviva per distrarmi. Le solite condizioni meteo di questo bizzarro anno già a metà settimana non davano però più la sicurezza di una giornata intera di bel tempo; come dire, ho colto al volo questa incertezza per coprire le mie. Un dubbio insinuato in Giorgio sulla nuova situazione meteo, la sua sensibilità ha fatto il resto. Ed è venuto fuori il Siella dal cappello. Partiamo con calma da Roma, la giornata sarà solamente una piacevole passeggiata. Saliamo da Assergi in una giornata senza nuvole; attraversiamo Campo Imperatore in mezzo al trionfo dei colori caldi dell’alba. Ci fermiamo in prossimità delle fiumane dove alcuni scorci verso le creste e il piano fiorito ci attraggono prepotentemente tanto da farci fermare per una mezz’ora intera. Arriviamo a Fonte Vetica intorno alle 7 e in una ventina di minuti siamo pronti a partire. Scegliamo di salire per la valle che si incunea tra il Tremoggia e il Siella verso Fonte Fredda, un sentiero che gradualmente sale e ci porta su fino alla sella in meno di un’ora. Ci attardiamo su un’anticima senza nome, dove metto le prime pietre per la costruzione di un ometto e da dove si domina il piano e tutta la cresta del sud dal Siella fino a Vado di Sole. E’ un piacevole angolo di montagna e la calma che abbiamo intorno ci porta ad aprofittare per una sosta. Ci godiamo il panorama, la temperatura tiepida dell’aria. E per qualche attimo dimentico le mie ansie. Riprendiamo verso la cresta che raggiungiamo facilmente attraverso un sentiero marcato che traversa il versante. Si apre quello abruzzese; il solito balcone impressionante verso il mare. Lo sguardo spazia dai Sibillini incastrati tra il Tremoggia e l’affascinante Monte Coppe. Il mare è una sottile linea azzurra che si confonde col cielo. Il Siella è la davanti; una cresta in leggera a graduale salita. Giorgio per un attimo scambia il Monte Coppe col Dente del Lupo e si convince dell’errore solo guardando la carta che avevo dietro. Delusi dalla possibile doppietta la tramutiamo in un progetto perlustrativo che darà seguito alla giornata dopo la conquista della mia 137esima vetta. Il Siella è docile sotto i nostri piedi e l’ometto di cima ci accoglie intorno alle 9 e 15. C’è assenza di vento, la temperatura è gradevole. Qualche giretto perlustrativo di vetta, le foto ed una piacevole sosta. Gli sguardi sulla non lontana Maiella, ancora bianca ma sbiadita dai colori in controluce. Ad ovest il Sirente e i suoi canaloni catturano lo sguardo e tutto il Velino colpisce per un manto nevoso ancora in forma invernale. La giornata poteva già concludersi qui, ma avevamo la spina nel finaco del Dente del Lupo, nella mente quella foto del gruppo di alpinisti impegnati a salirne lo spigolo e dovevamo localizzare la posizione per progettarne la salita. Riprendiamo il cammino e per la prima volta nella nostra storia abbiamo solo intenzioni perlustratiuve. Decidiamo di scendere a mezza costa per carcare di raggiungere la sella tra il Tremoggia e il Coppe pensando a questa come il punto di osservazione ottimale verso il Dente del Lupo. Scontorniamo una pagina nevosa ancora infida da calpestare senza ramponi; la aggiriamo e arrivamo alla sella del Coppe dove ci viene incontro un curioso puledro. Da questo balcone la vista verso il Tremoggia e il Dente del Lupo è imponente. Una valle profonda ci divide. Mi siedo sopraffatto dalla difficoltà che mi si para davanti. Il Dente del Lupo è un autentico scoglio appuntito. Due lingue di ghiaccio accompagnano lo sguardo verso la cima; le ipotesi di salita si moltiplicano, una avvolta dal dubbio della fattibilità più dell’altra, la Forchetta di Penne sembra ottimisticamente raggiungibile ma da li tutto diventa tremendamente alpinistico, impossibile. Un po’ più ad est, nella pagina del Dente un lungo scivolo di ghiaccio porta lo sguardo verso delle roccette che permetterebbero la salita fino alla vetta ma sembra un azzardo, solo una speranza. Non si passa, scherziamo. Il Dente del Lupo sarà una cima impossibile per Aria Sottile. Ma ne vogliamo sapere di più, abbiamo tempo e decidiamo di salire il Tremoggia per avere un punto di osservazione migliore. La pagina del Tremoggia, lunga e inclinata, è uno slalom tra le poche chiazze prive di neve. Rimpiangiamo di non avere i ramponi; per di più Giorgio calza le scarpe estive, apro io il percorso per dare una scaletta a Giorgio più sicura. In alcuni tratti la salita è da affanno, uno scivolo lunghissimo che incute rispetto e il fiato rotto in gola rendono la perlustrazione più complicata di quanto non si pensava. Lentamente saliamo, in uno spigolo ancora a 100 metri dalla cresta di vetta ci fermiamo e sostiamo per mangiare qualcosa. Il panorama è infinito verso il mare e verso la campagna sottostante. La regolarità delle coltivazioni alternate con i tanti boschi delle valli tra le colline calamita lo sguardo e dà uno spiccato senso di serenità; tanto che prolunghiamo troppo la sosta. Ripartiamo con le gambe imballate e gli ultimi 100 metri sono da affanno. Ma arriviamo e la piatta cima del Tremoggia ci fa riprendere presto le fatiche. Gli sguardi cercano nuove conferme verso il Dente del Lupo, che non arrivano però. Andiamo più in là, non ci arrendiamo all’idea che quella montagna non sia possibile da salire; c’è il vallone che si incunea e che permetterebbe di raggiungere le lingue di ghiaccio ma il vallone non si fa scoprire il percorso come avremmo voluto. Rimaniamo con gli stessi dubbi che avevamo trecento metri più in basso. Arresi alle difficoltà che non sappiamo prima leggere e poi affrontare chiudiamo qui la perlustrazione. Foto in vetta al Tremoggia e prendiamo subito la discesa, fuori dal sentiero, direttamente nella pagina ovest tra roccette e pendenze ripide. Lì sotto il piano è lontano ma la linea che abbiamo scelto ci fa scendere in fretta. Gli arrosticini di cui vediamo già i fumi di cottura danno la spinta a scendere veloci. Molto veloci, troppo, i piedi soffrono, ma in cambio arriviamo presto. Intorno alle 13 siamo al parcheggio. Mucciante segna il gran completo. Impossibile anche solo avvicinarsi. E allora mangiamo velocemente l’ultimo panino in macchina e decidiamo per il giro turistico tra i paesini terremotati. Stiamo allungando la giornata. In autostrada Giorgio, forse non pago di una giornata con poche soddisfazioini lancia l’idea di salire Monti di Bagno. Con la testa ero già sotto la doccia tra le mure della mia casa deposito, e con l’animo già ad affrontare le mie solitudini. Non stavo bene, un principio di raffreddore dei giorni scorsi stava dando sintomi pericolosi e carichi di dolori articolari forieri di cose non buone, ma non sono riuscito a fernare i proposito di Giorgio. Non ci credevo nella riuscita del progetto, ero certo che fosse troppo lontano per l’orario raggiunto e per la nostra stanchezza ma alle 15 meno un quarto ci stavamo arrampicando sulle pendici dei contrafforti dell’Ocre. Saliamo veloci, non lo avrei immaginato. Le gambe erano imballate e il fiato corto ma la salita la aggrediamo nel giro di quaranta minuti. Sulla sella un mare di crochi ci accoglie ma i Monti di Bagno si dimostrano davvero lontani. Continuiamo per capire se tentare o meno la sortita. Niente, non si può tagliare verso la cima, una profonda valle ci costringerebbe a contornare la valle fino a raggiungerte la sella sotto l’Ocre. Da lì un chilometro di cresta renderebbe facile la conquista del monte ma tutto questo, con un rapido calcolo ci porterebbe ad arrivare a casa non prima delle 21. Io non ho problemi ma ricordo a Giorgio che a casa ha tre persone che lo aspettano. Insieme alla fatica che dovremmo affrontare basta come motivo per convincere Giorgio ad arrendersi. Altri quaranta minuti di discesa veloce a siamo già in macchina. Una sosta nella famosa baracca dei formaggi di Campo Felice e riprendiamo l’autostrada. Fine di una strana giornata di montagna, calma, piena di pensieri e di parole tra due amici come nei tempi antichi. Non dovrebbe mai finire questa giornata. Io ripiombo nelle mie ansie. La prossima vetta, quella vetta così alta è ancora lontana e il percorso per raggiungerla ancora tutto da inventare.